La doppia natura di TikTok

Lo scorso marzo una coalizione di procuratori provenienti da 8 Stati statunitensi (Massachusetts, California, Florida, Kentucky, Nebraska, New Jersey, Tennessee e Vermont) ha annunciato l’apertura di un’indagine sulla piattaforma cinese TikTok per capire se i metodi e le tecniche utilizzate dal social possano arrecare danni su giovani ed adolescenti. 

Il social network cinese, lanciato inizialmente nel 2016 con il nome di Musical.ly, ha conosciuto un incremento notevole nel corso del 2020 complice anche la pandemia da Covid-19; il social è infatti divenuto estremamente popolare tra preadolescenti e adolescenti soprattutto grazie alle misure di isolamento anti-contagio. Tale popolarità ha portato con sé una serie di conseguenze e preoccupazioni, con l’Unione Europea che ha chiesto la creazione di una task force dedicata a mettere in guardia utenti e non solo dai rischi del social cinese. Ma cosa rende TikTok così popolare? Innanzitutto per navigare sulla piattaforma non è necessario aprire un account, basta infatti scaricare l’app per visualizzare tutti i contenuti presenti sul social, dopodiché ci si troverà davanti video con una durata che va dai 15 ai 60 secondi arricchiti da canzoni, effetti sonori e visivi estremamente attrattivi. La fase di registrazione è la prima che ci si trova davanti quando viene scaricata una nuova piattaforma ed è estremamente importante, basta richiedere un’informazione personale di troppo per perdere un potenziale utente. Avendo eliminato questa fase TikTok si rende immediatamente utilizzabile già dopo l’installazione, catturando l’interesse delle fasce più giovani di età notoriamente inclini ad una veloce perdita di interesse (circa il 66% degli utenti è di età inferiore ai 30 anni).

Dai colori all’impostazione, l’app di TikTok è stata realizzata con l’intento di intrattenere gli utenti e farli rimanere sulla piattaforma il più a lungo possibile. Chiunque lo abbia utilizzato almeno una volta, infatti, sa quanto sia difficile smettere di scorrere i video uno dopo l’altro. Tutto ciò ha senza dubbio un impatto rilevante sulle nostre vite personali e professionali, influenzando il modo in cui comunichiamo, restiamo connessi e condividiamo informazioni. Già nel luglio 2019 – prima ancora che la pandemia da Coronavirus ne accentuasse l’uso – il numero di utenti attivi sui social media in tutto il mondo aveva raggiunto i 3,534 miliardi, di cui si stima oltre 500 milioni siano attivi su TikTok.

Tuttavia, se da un lato il social cinese possa sembrare solo un’app divertente, dall’altro non devono essere tralasciati gli effetti ancora sconosciuti sulla salute soprattutto di giovani e giovanissimi. 

Diversi studi, infatti, hanno dimostrato che un uso eccessivo dei social media può essere specchio e coadiuvante di una depressione. Nella maggior parte dei casi le preoccupazioni legate agli effetti negativi dei social si riferiscono alle ripercussioni per i più piccoli ad esempio in termini di cyberbullismo o challenge pericolose (di cui parleremo successivamente). Sebbene tali pericoli siano concreti e la maggior parte della narrativa pubblica sugli effetti dei social media affermi che la sola esposizione ad essi sia legata a problemi di salute mentale, uno studio condotto da Chloe Berryman, Christopher J. Ferguson e Charles Negy ha rilevato che la qualità piuttosto che la quantità dell’uso ha un impatto maggiore. 

Nell’ultimo decennio, l’aumento del disagio mentale e del trattamento delle condizioni di salute mentale tra i giovani è cresciuto proporzionalmente ad un forte aumento di partecipazione “inconsapevole” nei social media da parte di bambini e adolescenti. In particolare, diversi studi hanno scoperto che spesso, l’uso inconsapevole dei social media è associato a preoccupazioni per l’immagine corporea e ad un’alimentazione disordinata. 

Negli ultimi anni il susseguirsi di fatti di cronaca legati all’app ha messo TikTok al centro di severe polemiche da parte dell’opinione pubblica, soprattutto genitori e parenti, intimoriti dai pericoli in cui i più piccoli possono incappare. Indubbiamente la paura principale è legata alle cosiddette Challenge, ossia sfide pericolose, pubblicate e divenute estremamente virali su Tik Tok, dove chi vi aderisce è chiamato ad agire in modo estremo, il tutto documentato su un video per ottenere like, consensi e follower. 

D’altro canto, però, oltre ai potenziali effetti negativi, l’utilizzo di social media come TikTok porta con sé anche esiti positivi come la possibilità di conoscere direttamente fatti ed eventi che accadono nel mondo o di conoscere ed entrare in contatto con esperienze di persone nelle quali ci si rispecchia. In tal senso, un esempio importante è rappresentato dai benefici che la comunicazione sanitaria tramite TikTok ha avuto nel contrastare la pandemia da Coronavirus. I dipartimenti di sanità pubblica hanno, infatti, sfruttato i vantaggi offerti dai social media per fornire educazione sanitaria e per comunicare con i cittadini circa i rischi del contagio. L’isolamento forzato, resosi necessario per arrestare la diffusione del virus, ha comprensibilmente fatto aumentare il tempo “non educativo” trascorso sullo schermo permettendo agli individui, soprattutto ai più giovani, di rimanere connessi con il mondo esterno mentre i mezzi di comunicazione più convenzionali diventavano sempre più impraticabili. La diffusione tramite la piattaforma cinese di informazioni riguardanti il virus, i rischi del contagio e la prevenzione, ha dimostrato di essere un mezzo fondamentale per i professionisti per educare e sfatare la fake news sul COVID-19.  

Da un punto di vista aziendale, grazie alla sua grande popolarità, TikTok rappresenta una piattaforma con elevato potenziale in termini di marketing e pubblicità. Non è un caso che sempre più aziende aprano un profilo sul social cinese o si servano di influencer e personaggi molto popolari per vendere e sponsorizzare i propri prodotti. Questo nuovo metodo di fare pubblicità porta ovviamente notevoli vantaggi, data la rapidità e l’immediatezza di TikTok come strumento vincente per la comunicazione online soprattutto verso un pubblico di giovanissimi. Inoltre, fare pubblicità sul social media risulta particolarmente semplice ed efficiente: basta riprendersi con uno smartphone, aggiungere una base musicale o un filtro accattivante, e condividere il video all’interno della community. 

La piattaforma di per sé è stata ideata contemporaneamente come un meccanismo economico al servizio di mercati multilaterali e come infrastruttura online che permette agli utenti di svolgere particolari tipi di attività. Per supportare queste attività TikTok ha anche lanciato un programma “Back to Business” che sovvenziona le piccole e medie imprese fino a 2.000 dollari di credito pubblicitario per lanciare campagne pubblicitarie sulla piattaforma, nonché la Marketing Application Programming Interface (API) che permette agli inserzionisti di monitorare le metriche chiave e misurare il successo delle loro campagne TikTok. Successivamente, per attirare un maggior numero di utenti il social media diversifica la creazione di contenuti attraverso l’uso di hashtag e challenges. 

Con la popolarità della piattaforma in continua crescita a moltiplicarsi sono anche le convergenze politiche e le azioni di regolamentazione dei vari governi. In particolare TikTok si trova ad affrontare due serie di sfide normative: la policy e la sicurezza dei dati e la regolamentazione dei contenuti. 

Infatti, con una base di utenti costituita principalmente da giovani ed adolescenti la protezione dei dati e della privacy degli iscritti è continuamente sotto l’occhio vigile delle autorità di regolamentazione della privacy. A detta dell’azienda cinese i dati degli utenti sono classificati in tre differenti gruppi: informazioni personali, contenuti generati dagli utenti e interazioni degli utenti. Nello specifico, le prime sono quelle informazioni fornite dagli utenti quando registrano nuovi account (indirizzo e-mail, posizione, età, ecc..), i secondi comprendono i contenuti video prodotti dagli utenti e, infine, gli ultimi contengono i dati su come gli utenti si impegnano nell’interazione sociale su TikTok (amici, like, condivisioni, ecc..). Oltre ad informazioni come età, nome, e-mail o numero di telefono, durante l’uso TikTok raccoglie anche altri dati comportamentali come informazioni di pagamento, servizi di terze parti e dati di localizzazione al fine di migliorare i prodotti e i servizi offerti, offrire la personalizzazione o fornire promozione e marketing. Dopo aver raccolto questi dati, la piattaforma si avvale di un sistema di intelligenza artificiale che analizza dati e contenuti per definire se i video riscuotono successo tra gli utenti, probabilmente basandosi su attributi come engagement e tempo di visualizzazione. Infine, tale intelligenza artificiale propone poi agli utenti dei video basandosi su quelli che ritiene essere i loro interessi. 

Tuttavia, soprattutto negli ultimi mesi, l’aumento della disinformazione su TikTok e, in generale, su molti social (Facebook, Instagram, Twitter, ecc…) ha generato crescenti preoccupazioni circa la necessità di controllare e regolare i contenuti dannosi presenti sulla piattaforma. Altri social media, come Facebook e Twitter, adottano diverse misure (moderazione automatica dei contenuti, fact-checking e flagging) per combattere la diffusione di fake news e contenuti pericolosi, allo stesso modo anche TikTok applica diversi strumenti per individuare e moderare i contenuti fuorvianti e offensivi. Tuttavia, la linea tra combattere la disinformazione e manipolare l’informazione è estremamente sottile. Ad esempio, si è scoperto che TikTok ha moderato i video relativi alle proteste di Hong Kong e Tiananmen ed ha impiegato moderatori di contenuti nella Cina continentale, il che ha sollevato domande riguardo al fatto che il social media potrebbe adottare la moderazione dei contenuti per far avanzare alcuni programmi e politiche. Tutto ciò, ovviamente, non riguarda soltanto la piattaforma cinese, ma anche ogni altro social media. Basti fare l’esempio dello scandalo Cambridge Analytica che vide la manipolazione di milioni di utenti di Facebook durante le presidenziali americane del 2016 per favorire Donald Trump, o i dubbi di molti utenti della piattaforma Twitter a seguito dell’acquisto di essa da parte di Elon Musk (che tuttavia ha dichiarato di averla acquistata per garantire una maggiore libertà di espressione e non una linea particolare). 

Ma chi o cosa decide quali video verranno visualizzati da ogni utente? La pubblicità ha indubbiamente origini antiche, tuttavia considerando il volume attuale del mercato della pubblicità online può sembrare strano che si tratti in tal caso di un fenomeno recente. A discapito di questa storia breve, la vita dell’advertising su internet è stata frenetica fin da subito. Si pensi al fatto che all’inizio degli anni ’90 gli investimenti in marketing online erano quasi nulli e al fatto che nel 2014 siano arrivati ad oltre 121 milioni di dollari. In particolare, tra il 1999 e il 2000 moltissime attività – dalle più grandi fino alle più piccole – cominciarono ad aprire siti web e ad investire denaro nelle strategie di marketing online con l’obiettivo di attirare traffico e potenziali clienti verso i propri spazi digitali. La svolta vera e propria è poi arrivata con la comparsa delle Adwords, quando nel 2000 Google lanciò il suo sistema di annunci rivoluzionando per sempre il modo di fare pubblicità. Successivamente, nel 2005 – anno in cui, tra l’altro, viene lanciata la prima pubblicità su Facebook (nato nel 2004) – YouTube rivoluzionò nuovamente la storia dell’advertising cominciando a promuovere la partecipazione del consumatore attraverso alcune funzioni interattive dei video che potenziavano la comunicazione audiovisiva. La rivoluzione di YouTube offriva un’ottima opportunità per i brand, tanto che poco dopo – nel 2009 – grazie ad un accordo con esso Google lanciò una nuova versione della pubblicità basata sugli utenti. Dunque, l’advertising online comincia con la nascita e la diffusione dei social media stessi e riguarda ogni piattaforma, non solo TikTok.

TikTok, di proprietà della società tecnologica cinese Bytedance, è un’applicazione che tutti possono scaricare gratuitamente sul proprio smartphone e come tale si arricchisce vendendo alle aziende pubblicità altamente mirata. Ciò che però molti potrebbero non sapere, mentre con ingenuità scorrono un video dopo l’altro, è che nel frattempo l’app raccoglie orde di dati su di loro. Questi dati vengono poi inseriti in algoritmi di analisi estremamente avanzati che forniscono a TikTok informazioni circa i contatti, la localizzazione, gli interessi e, ancor più importante, i consumi di ogni singolo utente. Tutto questo consente all’applicazione di fornire pubblicità estremamente mirata su base individuale. 

Detto ciò una qualsiasi pubblicità per essere efficace deve essere vista e rivista e quale miglior spazio se non quello di una piattaforma dove l’utente medio spende circa due o tre ore al giorno? È ormai risaputo, infatti, che i social media in generale producano assuefazione, essendo creati sulla base di un “modello di estrazione dell’attenzione” che influenza il comportamento degli users invogliandoli a rimanere connessi. La dipendenza causata dai social media si avvale del rilascio di dopamina che un video, un like, una notifica o un follow hanno sul nostro cervello, tuttavia il solo fatto di essere presenti su un social media e di farne uso non crea dipendenza e non ha necessariamente esiti negativi sulla salute mentale dell’individuo. Ciò, infatti, si verifica – soprattutto nel caso del disagio giovanile – in casi in cui vi sono delle pregresse condizioni di mancanze affettive, carenze emotive, problematiche nelle interazioni sociali e così via. Dunque, i social media non sono necessariamente pericolosi e dannosi, bensì lo possono diventare se ne viene fatto un uso scorretto da parte di soggetti, soprattutto giovanissimi, che non vengono educati al loro uso.

Come gli altri social media anche TikTok ha quale modello imprenditoriale quello di tenere le persone attaccate allo schermo e, per fare questo, sfrutta il desiderio di ognuno di noi di avere contatti sociali ed essere accettato cercando di capire come ottenere la massima attenzione da ognuno. In un certo senso potrebbe sembrare uno scambio equo: gli utenti trovano online tutta una serie di servizi apparentemente gratuiti, mentre gli inserzionisti (che pagano tali servizi) si fanno pubblicità sulle piattaforme stesse dove vendono i propri prodotti e traggono profitto. Tuttavia, per rendere una campagna marketing il più efficace possibile gli inserzionisti hanno bisogni di una moltitudine di dati che sono raccolti ed analizzati proprio dai social media. Si tratta di un nuovo tipo di mercato che ha reso le società come TikTok tra le più ricche della storia. Questo di per sé non è un problema, la pubblicità non è un male. Il problema è che più soldi investe un’inserzionista sulla propria campagna più questa raggiungerà gli utenti e sarà efficace, il che inevitabilmente avvantaggia le aziende e gli individui con maggiori possibilità economiche. 

In conclusione, alla luce di quanto emerge dal nostro osservatorio sul fenomeno, Gianpaolo Marcucci in qualità di Presidente dello Human Advisor Project ha preso la recente decisione di organizzare delle campagne di sensibilizzazione ed educazione all’uso dei social media che si terranno in varie scuole ed istituti del territorio italiano. L’idea è quella di non demonizzare a priori i social media, che sono ormai uno strumento fondamentale nelle società odierna, ma di insegnare i più giovani a sfruttarne al massimo le potenzialità in maniera consapevole ed utile.

Francesca Teresi

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